Taccuino Anastasiano è il proseguimento del Blog "Circolo Letterario Anastasiano", con il quale rimane comunque collegato (basta cliccare sul logo del CLA).
Sarà questo un blog essenzialmente dedicato alle recensioni, alle notizie letterarie, alle presentazioni di libri ed agli appuntamenti ed incontri relativi al nostro territorio vesuviano, e non solo: dedicheremo spazio a tutte le notizie interessanti che ci giungeranno, con lo scopo di fornire valide informazioni culturali e spunti di riflessione su temi di carattere poetico e letterario in generale.
Buona lettura e buona consultazione.

venerdì 7 febbraio 2014

Una nota di Raffaele Liguoro sul libro "Ero il ragazzo scalzo nel cortile" di Raffaele Urraro

Nell’accostarsi al titolo : Ero il ragazzo scalzo nel cortile, bisogna considerare due motivi
fondamentali : il ricordo e i mutamenti storici. L’opera si pone come un diario, a cui l’autore affida,
i sacrifici, i sogni, gli aneddoti di una vita, offerti dal contesto storico-culturale del dopoguerra e
dalle condizioni umane di una famiglia che traeva dalla terra il seme della speranza.
Così l’autore, nell’esprimere le verità elementari delle cose che lo circondano, assume un
linguaggio semplice, discorsivo, da diario appunto, evitando descrizioni affettate di un mondo
amato ed ora lontano; rifugge da stili e schemi ormai canonici della tradizione letteraria, alludo ai
clichès, abusati in poesia, dell’alba, della sera, degli alberi, del sole, delle stagioni ed di ogni altro
elemento della natura per esprimere le più varie condizioni umane. Si può dire come in questo caso
che la natura, in Urraro, sia vista essenzialmente per le sue componenti pratiche perché la
realtà in cui viveva richiedeva solo praticità e forza di braccia (imparai che la terra/produce per
amore/ anche quando riceve/ mille ferite al giorno).
Dall’infanzia alla maturità: l’autore stabilisce una continuità fra presente e passato, o meglio un
ritorno al passato che domina il presente. Come in un viaggio di andata e ritorno nei luoghi della
memoria, anche il lettore viene spinto e sospinto nella terra degli altri, prima, e nel liceo fatto di
straforo, dopo. Il poeta dipinge ai nostri occhi lo sguardo che aveva da bambino, le sbuffate
nascoste, quando nei giorni di festa accompagnava il padre nei campi o quando lui stesso alle tre di
mattina (o di notte) si portava al mercato su un’arrancante bicicletta. Da ogni testo traspare sempre
la riconoscenza e l’amore per la propria famiglia, soprattutto per il padre, che ha sempre creduto in
lui, tanto da spingerlo col suo orgoglio cocciuto/di bracciante agricolo agli studi. Se ne ricorderà
sempre il poeta, ricordando, in simbiosi, la maschera di polvere e sudore del padre.
L’avvicinamento dei concetti e dei valori di mezzo secolo fa mette rapidamente in luce la differenza
col modo di vivere di oggi. Ma questa lontananza chiarisce e rivela una somiglianza tra i sogni dei
ragazzi di allora e quelli di oggi.
Il volume presenta molte iterazioni (una su tutte : nella terra degli altri), che rappresentano uno dei
fattori più potenti di coesione e di organicità. Naturalmente non basta la semplice iterazione a creare
quell’equivalenza che è propria della poesia, perché non tutte le ripetizioni sono pertinenti se non
diventano elementi costruttivi del testo, se non entrano, cioè, in un più vasto processo di
correlazione fra le parti dell’insieme. I titoli di ogni poesia costituiscono dei veri e propri incipit
che proseguono solo per pochi versi( eccezioni sono : Quando salirai sull’albero delle ciliegie, quando mi fermo a navigare nei ricordi, per scrivere questi versi e solo le mani di mio padre che vanno a formare le vere e proprie liriche, inserite in questo organigramma dei ricordi) poiché Urraro
sorprende le attese del lettore virando il discorso verso la direzione opposta, per marcare una
particolare struttura sintattica o per sottolineare iconicamente il senso del discorso.
Raffaele Urraro poeta, critico letterario, professore di italiano e latino, raffinato studioso del maggior poeta dell’ottocento (Leopardi) e non solo, a differenza di quanto si possa aspettare, non tiene conto degli alti esempi dei suoi predecessori e adotta volontariamente, un verso tutt’altro che classico nel metro, in cui è abolito l’uso della punteggiatura in favore di un’espressione più diretta, che stia a sintetizzare la velocità del pensiero e l’irruenza degli imput emotivi.
In questo volume, Urraro si pone come cronista, egli racconta senza troppa enfasi (questo è uno dei
pregi dell’opera) la vita non di una sola famiglia ma di una società , andando quindi dal particolare
all’universale; parlando in prima persona egli riporta trasformazioni e mentalità di una generazione
che aveva voglia di evolversi. Tutto questo è eloquentemente espresso nella poesia: eravamo in tre
a sognare. Infatti in questo testo il poeta non parla solo del suo desiderio di divenire partecipe della
vita pubblica e di trovare una collocazione nella giostra mirabolante della vita, ma include altri due
ragazzi che insieme a lui condividevano gli stessi sogni. Il vero pregio dell’opera rimane quello di
lasciarsi leggere con gusto e partecipazione. In questo senso il volume può essere paragonato ad un romanzo. Ma perché limitarsi a un paragone, quando in ogni pagina si può leggere una microstoria che rinvia inevitabilmente alla pagina seguente, e la seguente, sviluppando quella precedente, apre ad un nuovo ciclo? Ma perché limitarsi ad un paragone se ogni pagina non è altro che un divenire, un progressivo focalizzarsi dell'attenzione sul singolo individuo e sulle persone a lui vicine? Ma perché limitarsi ad un paragone se ogni pagina di questo libro contribuisce a creare una trama,
un’ambientazione e a narrare una vicenda? Perché limitarsi a paragonare questo libro ad un romanzo quando esso è un romanzo?
(Raffaele Liguoro)

Nessun commento:

Posta un commento

Il II Volume dell'Antologia "Transiti Poetici"

CIRCOLO DELLE VOCI, Vol. I°

"Gusti di...versi", Ristorante Albergo dei Baroni, Sant'Anastasia (Na), 13 marzo 2015

La mostra "Il respiro della materia / I colori dell’anima"

Due poesie di Gerardo Pedicini

L’ombra del tempo

(per Sergio Vecchio


L’ombra del tempo

è ferma alla tua porta

e tra i rami

vigila la civetta,

cara agli dei.

Nel silenzio della notte

avanza il giorno tra le spine

e il vento rode

le vecchie mura sibarite

intrise d’acqua e di memorie.

Dorme nel profondo la palude:

il Sele discende lento fino al mare

e svuota le tombe dei sacrari.

Ora è l’antica Hera,

ora è Poseidon a indicarti il cammino.

Alla deriva del vento

il tuo passo di lucertola

è rapido volo d’uccello.

Sotto la tettoia scalpita il treno

sugli scambi e rompe le stagioni

nel vuoto delle ore.

Nel laboratorio acceso di speranze

resti tu solo a sorvegliare

il perimetro antico delle mura

mentre vesti d’incenso i tuoi ricordi

tracciando sul foglio linee d’ombra.

***

I segni della storia

(ad Angelo Noce)


Cinabro è il fuoco dei ricordi:

passano rotte di terre nella mano

e sfilano i segni della storia.

Ombre e figure

alzano templi alla memoria.

Nell’antico corso del mare

si sospende la luce del giorno.

È un sogno senza fine.

Transita il tempo da un foglio all’altro

e incide in successione

ciò che già fu, ciò che sarà

nella tenue traccia del tuo respiro.

(Gerardo Pedicini)

Il libretto "I Poeti della rosa"