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Buona lettura e buona consultazione.

venerdì 31 maggio 2013

"Il nettare e la musa", la nuova Antologia curata da Armando Saveriano

IL NETTARE E LA MUSA
SEI POETICHE DI INTRIGANTE SFACCETTATURA

Venerdì 7 giugno, presso la sala Audiovisivi del Centro Sociale “Samantha Della Porta”, alle 17,30, sarà presentato il corposo volume di poesia “Il Nettare e la Musa” (PER VERSI Editore, Grottaminarda – AV), un antologico fresco di stampa.
Sei autori evocano l’Ineffabile o da esso sono convocati per celebrare i misteri di un genere letterario d’atavica origine, osannato o discreditato, praticato con ardore e affanno, oppure malvolentieri tollerato, a seconda delle sensibilità dei mai storicamente numerosi fruitori e dei meriti/demeriti dei poeti (geniali, o mediocri imbonitori che siano).
Nel caso specifico ritroviamo cinque nomi di maestri del verso, Ciufo, Della Fera, Faia, Saveriano, Vetromile (variamente ispirati e alla bisogna abili architetti di scaltre fantasmagorie) e scopriamo un giovane esordiente, sicura cifra in progress sul fronte accidentato e inflazionato del poliedrico poetare (Gerardo Iandoli).
Partiamo da Anna Ciufo, che dipinge con le parole, doma intemperanze, esorcizza ossessioni, adesca demoni multisensòrii, grazie a un estetismo del logos da laboratorio di ricerca e da oscillografo del tessuto emozionale: bella, imprevedibile e pulsionale, si concede interamente alla Musa, e dalla Musa è accolta in sororale abbraccio.
Faia e della Fera, volponi delle scritture, imbibiti di coscienza sessantottina, sono critici delle crisi sociopolitiche di un’epoca fosca e incerta, che ha ereditato il peggio dal già tellurico e ambiguo scenario del novecento; il primo regge la bandiera dell’impegno civile, carezza il busto dell’ Arlecchino di Biancolelliana memoria e “castigat ridendo mores”, nel suo sbertucciare con mordacità la classe dei soloni da degenere democrazia né risparmiando i cives parolai e complici compiacenti, che continuano ad alimentare il circuito del vassallaggio da piccola barattopoli personale; il secondo, pittore e filodrammatico, accosta il linguaggio colto delle antiche aule ambiziose ad urgenze moderne e smanie, slogature e feticci contemporanei, scinde l’uomo nella sua dualità, ne fa la scansione impietosa fino alla ferita più intima e profonda.
Saveriano corteggia la Musa più raffinata e colta, agita fascine negro-neuromantiche, interpellando numi teatrali e letterari, ricorrendo quasi con un gusto per il crudele a cattedrali di non senso e complicati sistemi allegorici, passando però, con diversa pelle, per i fondali della memoria zeppa di colori e sussurri, fino a farsi naufragatore perfido e impietoso dei navigli sui quali viaggiano figure grottesche o laide, uomini e donne d’impudìca avidità e di valor nullo.
Vetromile di sé è nocchiero nell’imminenza dell’ignoto, un architetto delle vite altrui su carta e mastro vetraio della propria e loro caducità: imbussola l’ego e l’altro da sé in un procedere parallelo, adoperando parole e immagini che sono in fondo cuscini di solitudine nella compostezza di una disperazione brancolante. Guarda al mondo con dignità oracolare, con solletico semico del logos lo decritta nella polisemia e nella polimorfia del suo verso impegnativo, di lussuosa agglomerazione. E in fondo medita sulla condizione del travet, stringendone delicatamente, o avvincendone in una morsa, il patrimonio simbolico. Imbocca sovente le traiettorie di un’angoscia urbana che potrebbe disgregare nel rimpianto e nella frustrazione il diritto a un bilancio (etimologicamente precario), e la coesistenza macerata con l’insondabile dell’Es, che proiettiamo nelle edificate cattedrali del Motore Divino.
Gerardo Iandoli si cela, si perveste e si denuda per l’annunciato, agognato, inafferrabile/in afferrato amore; ma il suo erotismo assume i connotati del pretesto allucinato per riciclare intuizioni sul banale e sul sublime, e presto si fa psiche con l’occhio dell’alacre, imperterrito osservatore.
Claudia Iandolo, icona irpina di una scrittura graffiante e pellucida, incantevole e vellutata, aspra e cauterizzante, gioca il ruolo di critico, affiancata da Paolo Saggese, leader della poesia irpina da riscattare e da rimuovere dalla nicchia dell’artata dimenticanza.
Il giovane cinefilo-critico cinematografico Angelo Iermano, studioso, tra le altre cose, di linguaggi visivi, modera le esuberanze di autori e relatori, mentre attori storici e recenti dell’Associazione Logopea, Mena Matarazzo, Costantino Pacilio, Michele Amodeo, la piccola e bellissima Giovanna D’Onofrio, declameranno senza enfasi brani scelti dai poemetti contenuti nell’antologia esemplare. Intermezzi musicali a cura di Lucio Lazzaruolo e Raffaele Villanova, al secolo membri portanti della band Notturno Concertante.
Lunedi 10, invece, il gruppo va in trasferta a Salerno, dov’è ospitato, grazie ai buoni uffici di Anna Ciufo,  dal Centro Artisti Salernitani. Cambio di guardia per il sostegno critico, affidato ai brillanti universitari Davide Pollina e Riccardo Picariello, che dopo una panoramica sugli sbocchi della poesia dal Novecento al secolo in corso, illustreranno le ragioni poetiche e setacceranno intenti, permanenze e camminamento dei sei eliconici “dallo sguardo lungo”.
La poesia, dichiarata morta puntualmente, puntualmente si protesta araba fenice: fin troppo vitale, deve essere filtrata cum grano salis dall’ingorgo dei pennaroli all’assalto di notorietà esasperate ed esasperanti nel sottobosco di gruppuscoli impavidi e imprudenti, per la gioia di C.E. dal nodo scorsoio sempre pronto a spezzare l’osso del collo.
“Il Nettare e la Musa” riunisce poeti non modaioli, lontani da atteggiamenti castaroli, impegnati a non celebrare se stessi e a non tallonare testimonial più o meno illustri per avallare e coonestare il proprio estro creativo. Posizione ormai abbandonata dalla valanga melmosa di impettiti improvvisatori, zitelle isteriche, madri pazzoidi, matusalemme da cartolina seppiata, giovani imbecilli esaltati, furbe meretrici di provincia e imbambolati scopiazzatori di pietre miliari, che ormai si studiano (male e superficialmente) soltanto a scuola.

LOGOPEA






                                                      

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La mostra "Il respiro della materia / I colori dell’anima"

Due poesie di Gerardo Pedicini

L’ombra del tempo

(per Sergio Vecchio


L’ombra del tempo

è ferma alla tua porta

e tra i rami

vigila la civetta,

cara agli dei.

Nel silenzio della notte

avanza il giorno tra le spine

e il vento rode

le vecchie mura sibarite

intrise d’acqua e di memorie.

Dorme nel profondo la palude:

il Sele discende lento fino al mare

e svuota le tombe dei sacrari.

Ora è l’antica Hera,

ora è Poseidon a indicarti il cammino.

Alla deriva del vento

il tuo passo di lucertola

è rapido volo d’uccello.

Sotto la tettoia scalpita il treno

sugli scambi e rompe le stagioni

nel vuoto delle ore.

Nel laboratorio acceso di speranze

resti tu solo a sorvegliare

il perimetro antico delle mura

mentre vesti d’incenso i tuoi ricordi

tracciando sul foglio linee d’ombra.

***

I segni della storia

(ad Angelo Noce)


Cinabro è il fuoco dei ricordi:

passano rotte di terre nella mano

e sfilano i segni della storia.

Ombre e figure

alzano templi alla memoria.

Nell’antico corso del mare

si sospende la luce del giorno.

È un sogno senza fine.

Transita il tempo da un foglio all’altro

e incide in successione

ciò che già fu, ciò che sarà

nella tenue traccia del tuo respiro.

(Gerardo Pedicini)

Il libretto "I Poeti della rosa"