Nell’accostarsi al titolo : Ero il ragazzo scalzo nel cortile, bisogna considerare due motivi
fondamentali : il ricordo e i mutamenti storici. L’opera si
pone come un diario, a cui l’autore affida,
i sacrifici, i sogni, gli aneddoti di una vita, offerti dal
contesto storico-culturale del dopoguerra e
dalle condizioni umane di una famiglia che traeva dalla
terra il seme della speranza.
Così l’autore, nell’esprimere le verità elementari delle
cose che lo circondano, assume un
linguaggio semplice, discorsivo, da diario appunto, evitando
descrizioni affettate di un mondo
amato ed ora lontano; rifugge da stili e schemi ormai
canonici della tradizione letteraria, alludo ai
clichès, abusati in poesia, dell’alba, della sera, degli
alberi, del sole, delle stagioni ed di ogni altro
elemento della natura per esprimere le più varie condizioni
umane. Si può dire come in questo caso
che la natura, in Urraro, sia vista essenzialmente per le
sue componenti pratiche perché la
realtà in cui viveva richiedeva solo praticità e forza di
braccia (imparai che la terra/produce per
amore/ anche quando
riceve/ mille ferite al giorno).
Dall’infanzia alla maturità: l’autore stabilisce una
continuità fra presente e passato, o meglio un
ritorno al passato che domina il presente. Come in un
viaggio di andata e ritorno nei luoghi della
memoria, anche il lettore viene spinto e sospinto nella
terra degli altri, prima, e nel liceo fatto di
straforo, dopo. Il poeta dipinge ai nostri occhi lo sguardo
che aveva da bambino, le sbuffate
nascoste, quando nei giorni di festa accompagnava il padre
nei campi o quando lui stesso alle tre di
mattina (o di notte) si portava al mercato su un’arrancante
bicicletta. Da ogni testo traspare sempre
la riconoscenza e l’amore per la propria famiglia,
soprattutto per il padre, che ha sempre creduto in
lui, tanto da spingerlo col
suo orgoglio cocciuto/di bracciante agricolo agli studi. Se ne ricorderà
sempre il poeta, ricordando, in simbiosi, la maschera di
polvere e sudore del padre.
L’avvicinamento dei concetti e dei valori di mezzo secolo fa
mette rapidamente in luce la differenza
col modo di vivere di oggi. Ma questa lontananza chiarisce e
rivela una somiglianza tra i sogni dei
ragazzi di allora e quelli di oggi.
Il volume presenta molte iterazioni (una su tutte : nella terra degli altri), che
rappresentano uno dei
fattori più potenti di coesione e di organicità.
Naturalmente non basta la semplice iterazione a creare
quell’equivalenza che è propria della poesia, perché non
tutte le ripetizioni sono pertinenti se non
diventano elementi costruttivi del testo, se non entrano,
cioè, in un più vasto processo di
correlazione fra le parti dell’insieme. I titoli di ogni
poesia costituiscono dei veri e propri incipit
che proseguono solo per pochi versi( eccezioni sono : Quando salirai sull’albero delle ciliegie,
quando mi fermo a navigare nei ricordi, per scrivere questi versi e solo le mani di mio padre che vanno a
formare le vere e proprie liriche, inserite in questo organigramma dei ricordi)
poiché Urraro
sorprende le attese del lettore virando il discorso verso la
direzione opposta, per marcare una
particolare struttura sintattica o per sottolineare
iconicamente il senso del discorso.
Raffaele Urraro poeta, critico letterario, professore di
italiano e latino, raffinato studioso del maggior poeta dell’ottocento
(Leopardi) e non solo, a differenza di quanto si possa aspettare, non tiene
conto degli alti esempi dei suoi predecessori e adotta volontariamente, un
verso tutt’altro che classico nel metro, in cui è abolito l’uso della
punteggiatura in favore di un’espressione più diretta, che stia a sintetizzare
la velocità del pensiero e l’irruenza degli imput emotivi.
In questo volume, Urraro si pone come cronista, egli
racconta senza troppa enfasi (questo è uno dei
pregi dell’opera) la vita non di una sola famiglia ma di una
società , andando quindi dal particolare
all’universale; parlando in prima persona egli riporta
trasformazioni e mentalità di una generazione
che aveva voglia di evolversi. Tutto questo è eloquentemente
espresso nella poesia: eravamo in tre
a sognare. Infatti
in questo testo il poeta non parla solo del suo desiderio di divenire partecipe
della
vita pubblica e di trovare una collocazione nella giostra
mirabolante della vita, ma include altri due
ragazzi che insieme a lui condividevano gli stessi sogni. Il
vero pregio dell’opera rimane quello di
lasciarsi leggere con gusto e partecipazione. In questo
senso il volume può essere paragonato ad un romanzo. Ma perché limitarsi a un
paragone, quando in ogni pagina si può leggere una microstoria che rinvia
inevitabilmente alla pagina seguente, e la seguente, sviluppando quella precedente,
apre ad un nuovo ciclo? Ma perché limitarsi ad un paragone se ogni pagina non è
altro che un divenire, un progressivo focalizzarsi dell'attenzione sul singolo
individuo e sulle persone a lui vicine? Ma perché limitarsi ad un paragone se
ogni pagina di questo libro contribuisce a creare una trama,
un’ambientazione e a narrare una vicenda? Perché limitarsi a
paragonare questo libro ad un romanzo quando esso è un romanzo?
(Raffaele Liguoro)